level_02
Silenzio
===============================================================================================================================================================
Questi appunti sono scritti da un uomo come motivo di riflessione per lui stesso, oltre che come argomento di possibile limitata condivisione.
Mi scuso anticipatamente se il contenuto che segue potrà intraprendere direzioni inaspettate o includere opinioni strettamente riguardanti lo stato personale circa l’argomento analizzato.
===============================================================================================================================================================
––––––––––
Cos’è il silenzio?
––––––––––
Mi viene naturale partire da un piano materiale, ma questo costituirà solo il primo gradino verso un’analisi che intraprenderà ben altre scale di riflessione.
Nella sua semplicità il silenzio è assenza di suono, ovvero mancanza di vibrazione del mezzo attraverso cui esso si propaga.
Và da sé che in assenza di quest’ultimo, un mezzo, il suono non possa sussistere, né tantomeno viaggiare.
In realtà esso rappresenta solo una piccola parte del fenomeno vibratorio che interessa la nostra realtà e non è scontato che ad un’assenza di vibrazione corrisponda un’assenza di suono. Tutto dipende dalla scala in cui l’oscillazione, dotata di una determinata ampiezza e frequenza, viene presa in considerazione e ovviamente dal range umano di frequenze sonore udibili.
Suono è per noi ciò che si sente e silenzio è conseguentemente assenza di ciò che potremmo sentire. Non assenza di vibrazione.
Gran parte del nostro mondo è interessato da fenomeni vibratori, di cui il suono è solo uno dei tanti esempi. La luce stessa è vibrazione come onda elettromagnetica; vi è oscillazione nelle molecole e tra gli atomi della materia, vibrano gli elettroni intorno al nucleo atomico e con essi le stesse particelle subatomiche che lo compongono. Ogni sostanza, organica e inorganica, mobile o immobile, dotata o meno un qualche soffio vitale oscilla. La vibrazione a tutti i livelli non discrimina la vita dalla non vita, ma la totale esistenza dalla non esistenza. Ciò di cui ci rendiamo meno conto è ciò che abbiamo più facilmente sotto ai nostri occhi. Tutto muta, si muove, vibra.
Vale allora la pena spiccare quel salto e iniziare a prendere in considerazione il silenzio per ciò che è e non per ciò che non è.
Mi soffermo quindi su uno dei passi forse più conosciuti della Bibbia, quello che apre il Vangelo di Giovanni:
“In principio era il Verbo,
Il Verbo era presso Dio
E il Verbo era Dio” Giovanni 1, 1-3
Non si parla di silenzio, ma del concetto alla base di esso e con il quale si è aperta questa Tavola. Si parla di vibrazione.
L’evangelista Giovanni parla di Dio usando il termine logos, indicante, secondo vari livelli interpretativi, la Parola, così come il Verbo, l’Azione, o la Ratio.
Prima del Verbo, tutto era semplicemente silenzio? No. Pochi versetti dopo compare anche un altro termine associato a Dio, la luce:
“In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini; […]
Veniva nel mondo
la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.”
Luce e Verbo, entrambi vibrazioni su diverse scale.
Il fuoco non è nel concetto di non-suono (ovvero silenzio) e non-luce (ovvero buio), ma nella mancanza totale di vibrazione prima di quel Verbo. Non sono né il silenzio né il buio le condizioni per le quali niente sussiste. Prima che fosse il Verbo nulla c’era perché inesistente era la vibrazione, quell’elemento che avrebbe poi aggregato la materia e permeato tutti gli oggetti, animati o inanimati. Ciò che vibra, esiste.
Nulla vibrava, su tutti i piani e a tutti i livelli. Il silenzio è solo uno dei tanti casi possibili di assenza di vibrazione, che non esclude in alcun modo la presenza di tutti gli altri stati più o meno intensi e da noi percettibili e men che meno ne esclude l’esistenza in sè.
È da questo punto che il silenzio si mostra tanto vasto quanto spiazzante.
Il silenzio è il primo tra tutti i simboli a cui, inconsciamente, l’Iniziando viene sottoposto.
Il suo silenzio viene esperito dal momento in cui egli viene condotto nel Gabinetto di Riflessione. Quella stanza rappresenta il luogo dentro il quale l’assenza di suono abbraccia per la prima volta colui che ha scelto di intraprendere un determinato cammino. È nel silenzio (e nel buio), così come era prima di quel Verbo e di quella Luce di cui si è fatto appena riferimento, che muove i primi passi da Profano l’uomo che, una volta diventato Fratello, sarà portato a confrontarsi con ciò che egli già può in parte trovare in quel luogo di riflessione interiore. È nel silenzio che egli incontra i fondamenti della materia, di cui ogni creatura è costituita (sale, solfo e mercurio). Nel silenzio della sua non Conoscenza che egli viene messo davanti al percorso della Consapevolezza e del segreto più intimo, la via del V.I.T.R.I.O.L.
L’assenza della parola in questo primo passo da Profano, non deve però essere concepita al pari di un baratro verso il quale l’Uomo viene spinto e nel quale egli rimane bloccato nella mente e nel corpo. Tutt’altro anzi. All’interno di quella camera scura e circondato da simboli ancora a lui o-scuri, l’obiettivo è creare un silenzio in cui concentrarsi, focalizzarsi, formulare e comprendere dentro e fuori di sé. Intuizione, dedizione, comprensione, consapevolezza, conoscenza, esperienza, sacrificio rappresentano nel loro insieme tutti strumenti atti ad un solo fine, perseguibile in assoluto solo se si riconosce, scoprendolo tappa dopo tappa, in ognuna di queste pratiche, il valore fondamentale del silenzio.
Ma quello non è il solo silenzio dell’Iniziato.
Diventati Apprendisti si entra in una fase delicata e preziosa in cui gli occhi, inizialmente chiusi, iniziano ad aprirsi per osservare la vastità di un mondo celato alla Luce.
Quel dono chiamato Silenzio Rituale, predispone l’Apprendista ad uno stato di ascolto e apertura, del quale assaporerà il vero valore solo una volta che la parola gli verrà restituita.
Apprendimento e rivelazione sono entrambe vissute nel silenzio come più semplice condizione esteriore, che può potenzialmente riflettersi nella sfera interiore sotto forma di grandiose melodie, tra le più fragorose esplosioni e giubili del proprio spirito. Ciò che è silenzio fuori può essere frastuono assordante dentro, così come la più soave musica. È bene ricordarlo per noi e per gli altri, sempre.
Nella Bibbia il tema del silenzio è spesso riferito ad una condizione di preghiera, di profondo ritiro spirituale, in attesa del Divino:
“Sta’ in silenzio dinanzi all’Eterno, e aspettalo” Salmo 37, 7
“Buona cosa è aspettare in silenzio la salvezza dell’Eterno” Lamentazioni 3,26
L’episodio della Torre di Babele riporta alla necessità di un ritorno al silenzio, quando il linguaggio tra gli uomini non riesce più ad assolvere al suo ruolo comunicatore e così i 40 giorni di isolamento di Gesù nel deserto ci ricordano lo stretto legame tra questa condizione e il divino.
Il silenzio si associa a concetti di umiltà, educazione e tolleranza, tanto in riferimento a se stessi quanto agli altri.
Licurgo, con l’efficacia della sintesi sosteneva che: “Chi usa poche parole ha bisogno di poche leggi”.
Dalla Bibbia alle dottrine monastiche il passaggio è breve. È il “Taci e obbedisci” rivolto ai monaci da alcuni affreschi nelle cappelle dei conventi ed è lo stesso silenzio-disciplina per allontanare dalle pulsioni mondane e avvicinare alla preghiera e a Dio.
In molte dottrine orientali il silenzio è spesso associato ad uno stato meditativo in cui corpo e mente lavorano assieme per raggiungere un obiettivo comune; lasciare scorrere i pensieri senza soffermarsi su di essi non è nient’altro che un esercizio formale di silenzio interiore.
Il silenzio iniziatico non è in questo diverso da quello della scuola pitagorica e da quello che si trovava nei riti orfici-eleusini (probabilmente tra i primi propositori di un silenzio a carattere propriamente iniziatico). Il maestro Pitagora adottava e faceva adottare ai discepoli della sua scuola a Crotone il silenzio per poter udire il suono derivante dall’armonia celeste atto di sottomissione alla potenza divina, creatrice dell’Universo. Sin da allora il significato di queso atteggiamento verso il mondo risulta essere quindi strettamente connesso ad un’aura mistico-iniziatico-religiosa. Il silenzio pitagorico non si poteva definire come semplice e totale assenza di comunicazione orale, ma era più un atto di evoluzione della propria coscienza attraverso una sorta di raccoglimento interiore. Dai due ai cinque erano gli anni all’interno della scuola durante i quali i discepoli erano chiamati a questa pratica di ascolto e autocontrollo. Silenzio non è mai assenza di attività o staticità, ma anzi una posizione di tensione e propensione verso la ricerca di equilibrio, verso la crescita, lo studio, la consapevolezza.
Il silenzio non parla, ma comunica, a diversi livelli, gli stati più profondi, tanto del più completo smarrimento, quanto della più alta rivelazione.
La responsabilità di una parola che interrompe il silenzio và ben oltre l’importanza che oggi diamo nell’aprire bocca.
“L’esagerazione nel parlare rende vuoto e insulso il parlare medesimo” e ancora, Plutarco: “Chi parla si pone dunque in una posizione di rischio perché dissipa energie e disperde parte del nascosto tesoro che porta dentro di sé. Con il parlare si priva di qualcosa, di un elemento fisico e materiale che fino ad allora gli era appartenuto, lo espone e lo lancia lontano senza possibilità di recupero”.
Silenzio è preparazione dell’io alla scoperta del proprio viaggio, così come raggiungimento della sua meta, la ricerca di se stessi come il suo ritrovamento; individualità e collegialità, assenza e presenza, mancanza e pienezza; è sincronia e sinergia, cammino verso la conoscenza e consapevolezza di essa.
Il silenzio è l’atto di lasciare spazio, a seconda della situazione, a se stessi o a qualcun altro.
La sua condizione intrinseca di “ciò che è tra qualcosa” rende difficile definire il silenzio in quanto tale e non come assenza di altro.
Come la luce esiste perché vi è anche il buio, il male perché sussiste il bene e il pieno perché c’è il vuoto, il suono non trova significato se non accostato al silenzio.
“Il suono alto era il sistema nervoso in funzione, quello basso il suo sangue in circolazione, dunque, non esiste una cosa chiamata silenzio.
Accade sempre qualcosa che produce suono” (John Cage, Silence, 1961)
Sul tema dell’armonia delle sfere celesti accennato con Pitagora, Aristotele tratta finemente l’argomento degli opposti. Egli spiega l’impossibilità da parte degli uomini di percepire il suono di quell’armonia proprio utilizzando il principio di opposizione. Gli uomini sentono i suoni solo perché si pongono in contrasto con il silenzio, loro opposto. Essendo il suono prodotto dal movimento delle sfere celesti presente da ben prima della nascita della razza umana, questa melodia è impossibile da riconoscere, non potendone fare un paragone con la sua assenza. Il silenzio rappresenta evidentemente una condizione esistente all’interno dell’esperienza umana e le realtà religiose e filosofiche che ne fanno parte, dall’Oriente all’Occidente, ne costituiscono una profonda testimonianza.
I mantra, i canti rituali, la preghiera, le musiche cerimoniali, dall’India alla più profonda Africa, dall’Australia alla Mongolia, dai deserti caucasici alle steppe delle Americhe sono strumenti fondamentali di espressione dell’umano nei confronti del divino, tanto quanto lo è l’assenza di suono.
Pensare al silenzio come l’intervallo tra ciò che è rappresenta una presa di posizione forte, una prospettiva che può dire già molto rispetto al nostro modo di vivere. D’altronde è così che ci viene insegnato. In musica, prima si studiano le note e solo dopo le pause.
Tuttavia definire una parola usando il suo contrario non è spiegare il significato di quel termine, ma piuttosto negarsi la possibilità di afferrarne l’intima essenza. Il silenzio non può essere limitato alla definizione di “assenza di suono”. Tanto varrebbe definire ciò che è pieno come qualcosa che non conosce la vuotezza. Vivremmo a quel punto nell’assurdità di un’esistenza piatta, fatta di soli contrasti, vissuta con una non-necessità di comprensione, in quanto tutto sarebbe tale perché non suo opposto.
Silenzio è una delle infinite sfumature del suono, al contempo uno stato di completa chiusura e apertura al mondo. Non è la privazione a o di qualcosa, ma il suo più semplice e profondo accoglimento.
Nella mitologia egizia l’aspetto del silenzio prende forma nella figura di Arpocrate, una delle tante forme del dio Horus, figlio dei fratelli Iside e Osiride. Arpocrate è la forma di Horus fanciullo, nella sua iconografia egiziana di bambino rachitico negli arti inferiori, la testa rasata al di fuori di un ciuffo di capelli legati e l’indice della mano destra posto verticalmente sulle labbra, nell’oggi classico simbolo dell’invito al silenzio. La sua figura veniva posta all’epoca dell’Antico Egitto all’entrata dei Templi, a simboleggiare la necessità di rispetto nei confronti degli Dei. Come sottolinea Plutarco, questo simbolo, benché posto fuori da un tempio, era riservato a chi a quei culti era iniziato, e non a tutto il volgo, fatto che fa presupporre al duplice significato che questa divinità porta con sé, di silenzio-segreto. Il silenzio diventa la dimensione nella quale si incontra la divinità e il suo stesso dialogo con noi. Horus fanciullo, già con gli egizi, ma soprattutto successivamente poi, in tempi greci e romani, assume anche il ruolo di Dio della saggezza e della conoscenza esoterica. In un trattato del ‘500 di Cartari, Arpocrate giunge a noi come un fanciullo col capo coperto da un cappello, privo di viso e avvolto da un mantello adorno di occhi ed orecchie, in quanto sarebbe bene guardare e ascoltare molto, ma parlare poco. Lo stesso “signum harpocraticum” diventa simbolo dell’accesso a conoscenze di sapere nascosto. Dalle mani di Arpocrate il silenzio passa a quelle della divinità Mercurio, Hermes.
A seconda delle raffigurazioni nelle quali compare, il Dio può venire raffigurato con lo stesso “signum harpocraticum” che aveva contraddistinto l’Horus fanciullo secoli prima e un settenario in mano, sormontato dalla scritta “Manet in se monas” (L’uno resta in sé) (Bocchi, “Symbolicarum queaestionum”, 1574), oppure tra Giove e la Virtù, facendo a quest’ultima segno di silenzio, mentre il primo dipinge su una tela e genera la Natura e il Mondo, sotto forma di farfalle che prendono il volo (Dossi, “Giove, Mercurio e la Virtù”, 1523-1524). Si ricorda che in greco farfalla si dice psichè, stesso termine con il quale si indica l’anima.
La figura di questa divinità, Arpocrate e successivamente Mercurio, si articola quindi non solo nel silenzio, ma anche nella erudizione, nella conoscenza iniziatica, nell’introspezione e in ciò che è occulto agli occhi dei molti. Ciò che deve rimanere segreto viene custodito nel silenzio e il silenzio stesso si fa metodo di comunicazione non verbale di qualcosa che deve restare celato, coperto. Ciò che non deve essere svelato, ma ri-velato. E’ nel segreto che il silenzio trova la sua espressione iniziatica. Tutti gli adepti nella maggior parte delle tradizioni esoteriche sono chiamati ad osservare un silenzio nei confronti del mondo profano, rispetto ai loro Lavori all’interno del Tempio, conservando così ciò che è racchiuso in quel ‘secretum’, impossibile (su diversi livelli) da rivelare.
Quando un Fratello entra nel Tempio, attraverso l’ingresso che lo porta dentro di sé, lo fa in silenzio, per intraprendere quel dialogo interiore necessario alla ricerca alchemica per lo studio della trasmutazione dei propri metalli. Svuotandosi dell’altro si ritrova se stessi; svuotandosi del tutto, ci si ritrova. È con il silenzio che si giunge a quel Nulla, ed in quel Nulla che si trova in Divino interiore. Stare in silenzio evidenzia l’altro, annichilendo quella parte superficiale del proprio io, quella dell’egocentrismo e dell’egoismo, per esaltare invece l’anima profonda che si unisce alla fratellanza della Loggia. Si tratta di un mutuo contratto con la parte più intima di sé e al contempo con lo spirito stesso di quel segreto custodito nella ricerca di un contatto tra umano e super-umano (ciò che sta sopra l’uomo). Si abbandona ciò che è in superficie e si fa della molteplicità unità.
Togliendo cose, lasciandosele indietro e alleggerendosi si sale; appesantendosi nell’aggiungerne, inevitabilmente si scende. Il silenzio è lo strumento che ci permette di alleggerirci da ciò che ci ha impedito di salire.
Esso permette una duplice opportunità: riflettere, stando in silenzio per ascoltare ciò che intorno a noi silenzio non è, e far riflettere, conferendo densità e significato a quel silenzio.
Pessoa, in “Pagine Esoteriche” introduce il concetto del rapporto tra il sentire e il pensare:
“sentire è esistere irrimediabilmente soli, così come pensare è esistere con gli Dei e agire è esistere con gli uomini ed il Cristo”
Ciò che ci viene permesso dal silenzio è sentire, ovvero il processo fisico di percezione del suono. Ciò che però eleva noi stessi è l’unione del processo fisico al lavoro dell’intelletto e dello spirito, ovvero l’ascolto che fa riflettere (silentium cogitans). Allora il silenzio assume ruolo attivo nella persona che lo persegue; non una rinuncia, ma uno strumento, una possibilità di lavoro. È il silenzio dell’iniziativa e della volontà, è il silenzio dell’Iniziato. Serve a portare ordine in se stessi, così come portare avanti il proprio lavoro muratorio. Si ricorda che gli stessi segni d’ordine si compiono in silenzio. Il silenzio dell’Apprendista è puramente atto potenziale di una condizione a lui ancora estranea, che diventa pratica operativa nel momento in cui la non-parola diventa meditazione profonda.
Come il silenzio del Profano nel Gabinetto di Riflessione può essere associato al cammino di distacco da una realtà fatta di illusioni e passioni dell’arcano maggiore numero 0, il Matto, così il Silenzio Rituale dell’Apprendista trova un suo possibile parallelismo nel senso del lavoro, della pratica, della scoperta e della tensione verso qualcosa di più alto, presenti nel primo arcano maggiore, il Bagatto. Il Matto (e nella tradizione cabalistica si potrebbe accennare anche a Malkuth, la Materia) incarna la follia del voler intraprendere una nuova vita dal principio. Abbandonando il mondo materiale si guarda ancora indietro, ma avanza verso il percorso da intraprendere. Come sul tavolo da lavoro del Bagatto, colui che è iniziato pone invece sulla sua pietra interiore gli strumenti più intimi, i simboli che incontrerà da lì in poi sul suo cammino, che gli permetteranno di compiere il lavoro del muratore e dell’artigiano, dell’alchimista e del mago. Il silenzio accompagna il cammino, si evolve e permette una trasformazione nell’anima dell’individuo, un’ascesa nello studio interiore. Si cresce e, studiando i simboli, la propria consapevolezza aumenta. Quel silenzio da prima impostogli si fa volontario e si trasforma in pazienza, costanza, determinazione e ascesi. Il silenzio della laboriosità del Bagatto si trasforma allora nella concretezza e nella solidità dell’Eremita, nono Arcano Maggiore. Lo studio del concreto fiorisce nello studio dello spirito. Dall’istinto nervoso, dall’incontrollabile pulsione all’azione del Matto ad un’evoluzione lenta e profonda. L’Eremita, tanto consapevole di ciò che ha appreso, quanto di ciò che ancora ha da imparare, solleva la sua lanterna, velando in parte quel lume per non accecare chi ancora sta cercando quella via, su cui lui è da tempo in silenzioso cammino. Ciò che fa luce in modo continuo senza brillare senza controllo fende così le tenebre, e accompagna lungo la via, senza abbandonare nel momento del bisogno.
Si è parlato del silenzio come punto di partenza dell’Iniziato nel suo percorso di ingresso in quel Tempio interiore, ma anche come strumento per la riflessione e l’operatività durante il più personale percorso iniziatico. Tassello fondamentale di ciò che è all’inizio e di ciò che arriva alla fine, in un processo ciclico di conoscenza e vita.
Il silenzio del trovare alla fine ciò che si è incontrato all’inizio.
Nel passo di Giovanni “In principio era il Verbo”, quel principio riassume in sé il significato dell’intera Creazione, l’Uomo e l’Universo senza distinzioni; così come fuori dal Tempio il “Nosce te ipsum” rende palese, e in questo senso ancor più celato e al sicuro, quell’inconoscibile secretum.
Il silenzio come la quiete, il Nulla della precedente fine e dal Nulla il successivo inizio.
Si nasce nel silenzio, si muore nel silenzio.
Prima della Creazione, silenzio.
Al termine del ciclo tornerà il silenzio.
Ciò che viene prima è silenzio, ciò che viene dopo è silenzio.
Ciò che vi è in mezzo non lo è mai totalmente.
––––––––